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Federalismo

di Giuseppe De Vergottini

Le premesse

 Il federalismo è innanzi tutto una dottrina politica imperniata sul principio di collaborazione fra diverse entità che mantengono una loro autonomia in un quadro di regole unitario. La esigenza di conciliazione fra autonomia e unitarietà è risalente nel tempo. Per quello che riguarda l’attuale status del federalismo occorre prendere le mosse dai fenomeni organizzativi che caratterizzano l’età moderna e contemporanea. La prima elaborazione organica della dottrina federalista risale, secondo una condivisa lettura, a quanto enunciato da J. Madison, A. Hamilton e J. Jay nei saggi pubblicati nel periodo 1787-1788 e raccolti in The Federalist, una delle basi dottrinarie della Costituzione degli Stati Uniti. Il federalismo che si andava sperimentando e affermando negli Stati Uniti assunse valore paradigmatico per il costituzionalismo europeo dell’Ottocento. E questo sia con riferimento al principio di ripartizione territoriale del potere insito nella costituzione nordamericana, sia con riferimento ai valori politici propri del liberalismo moderato del tempo. Da quel momento, anche se con inevitabili oscillazioni, federalismo sarebbe stato sinonimo di ripartizione territoriale del potere, ripartizione intesa in senso verticale e cioè fra Stato federale e Stati membri, e ad un tempo in senso orizzontale secondo la classica tripartizione dei poteri/funzioni. In aggiunta, dal garantismo assegnato ai cennati principi di separazione e dal connesso controllo interpotere sarebbe derivata la tutela di ampie sfere di libertà civiche.

 Nell’Europa della Restaurazione, la Démocratie en Amérique di Tocqueville contribuì a diffondere fra i liberali conservatori del tempo il mito della Costituzione americana e del suo federalismo. Ma mentre era diffusa nella letteratura del periodo l’esaltazione della rivoluzione liberale coronata da successo, vi era cautela nell’indicare nel federalismo statunitense un modello per la costruzione di regimi liberali e poi democratici in Europa. Il modello europeo continentale di tutela delle autonomie territoriali rimaneva piuttosto il municipalismo teorizzato dal Constant che accanto al livello nazionale ammetteva soltanto quello provinciale e municipale.

 In Europa nel secolo successivo il messaggio federalista accompagna i propositi di riorganizzazione del potere in diversi Paesi. Si pensi agli scritti di Proudhon. In Italia va ricordato il federalismo neoguelfo di Gioberti, quello liberale del Balbo e del D’Azeglio, quello repubblicano rivoluzionario del Ferrari, quello democratico del Cattaneo. Il movimento federalista nelle sue diverse anime era destinato all’insuccesso con l’affermarsi della esigenza di unitarietà sostenuta con successo dalla monarchia sabauda.

 Al termine del secondo conflitto mondiale la reazione alla esasperata centralizzazione dello Stato autoritario fa nascere spinte per il riconoscimento delle autonomie a livello statale. Di qui all’interno dello Stato la regionalizzazione prevista dai costituenti da cui in tempi più recenti scaturirà la domanda, in verità confusa e disorganica, di federalizzazione (il cosiddetto senato federale al momento solo progettato e il federalismo fiscale deliberato ma di prossima problematica attuazione), e all’esterno la spinta alla federazione europea promossa da appositi movimenti cui hanno aderito partiti e istituzioni di diversi Paesi. Fra i movimenti viene ricordato il Movimento federalista europeo promosso a Ventotene nel 1943 da E. Rossi e A. Spinelli. L’ideale federalista non ha condotto agli Stati uniti d’Europa ma ha tuttavia concorso a ottenere una serie di trattati che hanno assicurato un mercato unico ed estese integrazioni che superano il ristretto ambito dell’economia e del commercio interstatale.

Federalismo e costituzionalismo

 Nello Stato di derivazione liberale la ripartizione del potere sul piano territoriale fra ente-Stato e altre entità dotate di autonomia politica assume una particolare importanza. Infatti a livello di organizzazione politica il federalismo implica la compresenza di diverse realtà politiche che mantengono una propria identità e indipendenza ma a un tempo sono vincolate da un sistema di regole superiori che ne consenta la convivenza. Viene quindi introdotta la istituzionalizzazione di essenziali forme di collaborazione fra le diverse entità. L’idea federale non necessariamente investe soltanto gli Stati. Essa può interessare anche entità substatali. Si pensi ad esempio alle federazioni di società sportive o fra organizzazioni sindacali che mantengono la loro autonoma disciplina pur inserendosi in una più ampia struttura complessa cui affidano compiti di governo di comune interesse.

 Nel settore del diritto pubblico il federalismo tocca, a volte con inevitabili commistioni, il fronte dei rapporti fra Stati sovrani inseriti secondo il diritto internazionale in strutture definite confederazioni e anche i rapporti fra enti politici territoriali, variamente qualificati, e lo Stato centrale definito convenzionalmente federale. Esiste tuttavia una profonda differenza fra confederazione e Stato federale, non tanto a causa del diverso diritto rilevante, internazionale in un caso, costituzionale nell’altro. Infatti in via più generale tale differenza riguarda la diversa connessione con la ideologia liberale. Infatti nel caso della confederazione interstatuale il principio di fondo è quello della esigenza di forme di collaborazione fra Stati ispirata al principio di convivenza pacifica. Nel caso dello Stato federale basato su una propria costituzione la scelta collaborativa fra diverse entità politiche si intreccia con la decisione costituzionale e l’ideologia federalista si intreccia con quella costituzionalista e quest’ultima finisce per coincidere con la concezione liberale della Costituzione.

Le confederazioni e le unioni

 Come accennato, lo Stato federale non è l’unica espressione di forme collaborative istituzionalizzate che tradizionalmente si riconducono alla ampia matrice del federalismo. Infatti, accanto a soluzioni federative che sono rette dal diritto costituzionale di un certo Stato e che propriamente individuano uno Stato federale, esistono soluzioni federative rette dal diritto internazionale che individuano confederazioni di Stati.

 La federazione o confederazione di Stati è una unione politica fra Stati sovrani disciplinata dal diritto internazionale. Essa è basata su un trattato che ne disciplina le finalità, in genere legate alla soddisfazione di interessi relativi prevalentemente alla comune difesa e al mantenimento della pace fra i membri, ma anche alla soddisfazione di più ampie comuni esigenze, quali quelle economiche e commerciali. Di qui l’affidamento alla confederazione (ma non sempre in modo esclusivo, in quanto possono essere contemplate permanenti attribuzioni degli Stati membri) del diritto di guerra e pace, di legazione attiva e passiva, di stipulazione di trattati.

Lo Stato federale

 A livello costituzionale il federalismo comporta un modello di decentramento statale in parte connesso alla speculazione dottrinale, in parte risultante empiricamente dalle osservazioni di esperienze reali. Pur affondando le sue radici in diversi precedenti storici, è certo che da quando gli Stati Uniti d’America furono organizzati quale sistema federale con la costituzione del 1787 il federalismo è stato presentato come la soluzione ideale al problema della divisione delle attribuzioni di governo fra Stato centrale e altre entità politiche, in modo tale da valorizzare al massimo il decentramento, pur assicurando il carattere unico dello Stato nel suo complesso.

 Il federalismo ha rappresentato uno degli aspetti più qualificanti dell’affermarsi del «governo costituzionale» ed è quindi uno degli istituti più significativi dello Stato liberale. Infatti, esso può essere considerato come «forma territoriale di divisione del potere politico in base ad una costituzione». In tal senso al principio della separazione del potere tramite attribuzione delle funzioni statali a distinti organi, si unisce quello della articolazione del potere politico anche su base spaziale. Quindi alla base della concezione federale propria del liberalismo politico si pone la convergenza fra bilanciamento in chiave garantista del potere statale e degli Stati membri e la garanzia delle autonomie e delle libertà politiche.

 a) Lo Stato federale comporta una organizzazione retta da un proprio diritto costituzionale che concilia il principio della unità dello Stato con quello della autonomia degli enti territoriali politici, variamente denominati (Stati, Paesi, comunità, cantoni, regioni, provincie), che sono ricompresi nell’ambito statale e disciplinati dalla stessa costituzione federale. Stati Uniti, Svizzera, Germania e Austria sono fra gli ordinamenti che hanno maggiormente influenzato il consolidarsi del modello federale, arricchito dal contributo successivo di altre esperienze costituzionali. Una analisi comparativa delle diverse costituzioni consente di enucleare i profili costanti del modello federale. Esso implica: un ordinamento costituzionale statale unitario; l’accoglimento del principio di separazione dei poteri; il riconoscimento nella Costituzione dello Stato della garanzia degli enti territoriali politici portatori di propri ordinamenti integrati in quello dello Stato unitario; la subordinazione degli ordinamenti degli enti territoriali alla Costituzione dello stato; il contestuale principio di reciproca equiordinazione fra gli ordinamenti degli enti territoriali minori; la ripartizione fissata nella costituzione dello stato delle sfere di competenza dello stato rispetto a quelle degli enti territoriali minori e fra quelle dei medesimi; il carattere formalmente costituzionale delle norme relative alla organizzazione costituzionale, alla ripartizione delle sfere di competenza, alla loro modificabilità tramite procedimenti aggravati di revisione, eccezione fatta per il principio federale considerato immodificabile; la partecipazione degli enti territoriali politici a organi e procedimenti connessi alla esecuzione delle funzioni dello Stato unitario; la soluzione dei conflitti fra stato ed enti territoriali e fra questi ultimi a opera di un organo del primo.

 Il modello dello Stato federale ricordato presuppone il suo inserimento nella più ampia cornice della forma di Stato di derivazione liberale. In altre parole, le articolazioni riscontrabili nelle costituzioni degli Stati definiti federali fra potere sovrano dello stato e autonomie delle sue componenti presuppone una più ampia scelta a favore della garanzia dei diritti di libertà, del pluralismo politico e della garanzia del diritto di opposizione.

 Il principio federale attiene dunque, in modo specifico, alle soluzioni valevoli per regolare l’assetto del potere di decisione politica ripartito fra Stato federale e «Stati» membri, fra centro e periferia; attiene quindi alla forma di governo. Non a caso la elaborazione dottrinale considera il federalismo come uno dei profili del costituzionalismo (con riferimento alla separazione «spaziale» del potere fra centro e periferia che si aggiunge alla separazione funzionale legata alla classica tripartizione dei poteri) o anche della concezione democratica dello Stato (con riferimento al principio pluralista di cui rappresenta una significativa dimostrazione).

 Da qui discende la esclusione dall’ambito del federalismo correttamente inteso di tutte quelle esperienze che soltanto nominalmente si riportano al concetto.

 Pertanto per una attuazione dei principi del federalismo non basta la semplice qualificazione di uno Stato come federale. Ciò avveniva negli Stati che si definivano socialisti (Urss, Cecoslovacchia, Jugoslavia), in cui il partito unico e l’assenza di pluralismo politico erano di ostacolo sostanziale a un effettivo federalismo (in tal caso limitandosi la qualifica federale al riconoscimento della rilevanza del carattere multietnico di uno Stato rigidamente accentrato). Non dissimile è la situazione in ordinamenti di Stati usciti dalla decolonizzazione. In alcuni ordinamenti della America latina il richiamo al federalismo ha posto alla dottrina costituzionalista seri problemi di interpretazione in quanto non sempre il livello di autonomia assegnato agli Stati membri è andato oltre a forme di decentramento amministrativo con significative forme di ingerenza del potere centrale. E ciò anche se la progressiva maturazione del pluralismo politico e delle forme di garanzia dei diritti ha incrementato la domanda di autonomia politica locale, sia a livello statale che municipale, come dimostra l’esperienza brasiliana e argentina.

 b) Da parte degli studiosi del federalismo sono stati individuati alcune condizioni o presupposti che giustificano il ricorso al modello federale. Tra questi si individuano, senza che vi sia necessaria compresenza di tutte le stesse: 1) la volontà di indipendenza in sede internazionale e quindi le esigenze di una comune difesa; 2) la prospettiva di una più razionale organizzazione e di vantaggi economici; 3) l’esistenza di risorse economiche sufficienti a consentire il funzionamento dell’apparato centrale e di quello periferico; 4) la contiguità geografica; 5) un equilibrio fra il peso politico ed economico dei vari componenti, in modo da evitare che alcuni degli Stati membri assumano una posizione preferenziale; 6) l’avere intrattenuto precedenti rapporti associativi in seno a una confederazione o aver fatto parte insieme di più ampie organizzazioni politiche, quali gli imperi coloniali; 7) la similarità delle rispettive istituzioni politiche e, in particolare, della forma di Stato.

 Di massima, questi fattori si ritrovano analizzando l’origine e gli sviluppi dei fenomeni politico-istituzionali che hanno originato almeno quattro dei più noti esperimenti federali: Usa, Svizzera, Australia e Canada. Non risultano invece fattori indispensabili la identità di lingua, di nazionalità, di razza, di religione. Anche se esistono esempi di stati federali in cui questi elementi ricorrono in tutto o in parte (Germania e Austria), nei quattro esempi citati gli stessi elementi non possono riscontrarsi, essendo note le differenze spesso profonde, sotto il profilo etnico, linguistico e religioso. Il federalismo appare invece come l’unico sistema per tenere uniti nella diversità multiformi gruppi nazionali, religiosi e culturali, come è nel caso dell’India e del Sudafrica.

 Va anche notato che la presenza delle situazioni menzionate non comporta di per se stessa una scelta federalista. Il loro riscontro consente unicamente di enucleare empiricamente, attraverso l’osservazione di dati storici, alcuni elementi che si presentano come condizioni che possono originare uno Stato federale.

 c) Federalismo aggregativo e disaggregativo. Tradizionalmente lo Stato federale è analizzato sotto il profilo delle tecniche organizzative del potere politico che consentono un migliore uso della autorità pubblica in quanto avvicinante il potere al cittadino. Il federalismo quindi non è solo un modo per equilibrare il potere fra centro e periferia, ma è anche una soluzione diretta a migliorare l’uso del potere con riferimento ai soggetti a favore dei quali il potere viene istituzionalizzato. La ripetizione automatica di questo luogo comune ha fatto perdere di vista un aspetto che negli anni più recenti si è progressivamente affermato come rilevante: il federalismo come tecnica destinata a consentire non soltanto un allentamento dei vincoli imposti dallo Stato centrale ma addirittura una possibile eliminazione del patto costituzionale che sta alla base della costituzione dello Stato unitario. Occorre dunque fare i conti con la duplicità delle finalità che stanno alla base delle soluzioni istituzionali che si richiamano al concetto di federazione: al federalismo finalizzato alla aggregazione si aggiunge o si contrappone il federalismo finalizzato alla disaggregazione quando dalle autonomie che compongono lo Stato si passa alla autodeterminazione, e quindi si tende ad abbandonare la cornice della costituzione per passare a quella dell’ordine internazionale, a volte mantenendo o tentando di mantenere un vincolo di tipo confederativo.

I principi organizzativi

 Nello Stato federale i rapporti fra supremi organi costituzionali sono regolati secondo una ricca varietà di formule che in pratica copre tutte le «forme» abitualmente verificabili negli ordinamenti positivi: governo presidenziale (Stati Uniti e ordinamenti della America latina), parlamentare (Canada, Australia, Belgio, Germania), misto presidenziale-parlamentare (Austria), direttoriale (Svizzera). Vi è un elemento che accomuna le diverse manifestazioni di rapporti fra poteri ed è offerto dal fatto che qualunque sia la forma prescelta per disciplinare l’equilibrio fra poteri dello Stato centrale nei rapporti fra centro e periferia il potere centrale, complessivamente inteso, non è mai un potere debole. Infatti la costituzione della forma federale comporta un equilibrio fra poteri centrali e poteri degli Stati membri, mai la prevalenza di questi ultimi. L’esperienza, tra l’altro, indica che più ampie sono le attribuzioni periferiche più solido e forte è il potere degli organi federali (Stati Uniti, Germania), sia che il fulcro del potere sia un presidente, un cancelliere, una corte suprema o altro. In questa prospettiva, oltre agli elementi istituzionali, una significativa forza centripeta con effetto federalizzante è offerta dalla presenza di grandi partiti nazionali radicati sull’intero territorio dello Stato, elemento di forte aggregazione tramite la funzione di selezione della rappresentanza politica.

La sovranità

 Esiste una antica polemica circa la natura dei poteri dello Stato federale e di suoi componenti in quanto è in discussione a chi spetti la sovranità in tale forma organizzativa del potere.

 Di massima a questo interrogativo si deve rispondere riscontrando che la sovranità spetta alla organizzazione centrale basata su una Costituzione cui è demandato il compito di delineare la ripartizione del potere fra Stato centrale e Stati membri. L’idea che agli Stati membri rimanga la sovranità e che quindi si debba individuare una sorta di equiordinazione fra Stato centrale e Stati membri è conseguenza del fatto che alcuni Stati federali sono derivati da precedenti esperienze confederali. Ma in realtà il passaggio dalla confederazione allo stato federale si trova in ipotesi circoscritte: Stati Uniti e Svizzera sembrano gli esempi più sicuri unitamente alla Germania. Più frequenti sono i casi di evoluzione dalla disciplina costituzionale di uno Stato unitario verso un decentramento interno sul modello federale: evoluzione della costituzione canadese basata sulla legge inglese del 1867; revisioni o nuove costituzioni sul modello federale in Argentina (1853), Brasile (1891), Messico (1824 e 1917), Austria (1920). Pure presenti sono esempi di configurazioni fondate sul modello federale in seguito a scelte unilaterali operate da uno Stato già esercitante la sovranità su territori destinati all’indipendenza nel momento in cui decide quella che diverrà la costituzione di un nuovo Stato (Australia, 1900), o in seguito a scelte di Stati che impongono le linee della futura costituzione a uno Stato debellato (Germania, in seguito all’Accordo di Londra del 1948 che ha condizionato la scelta federale della Legge fondamentale del 1949). Risulta quindi confermato che storicamente accanto alle ipotesi della formazione di uno Stato federale tramite la integrazione di Stati (già) sovrani, vi è quella del passaggio da uno Stato unitario accentrato a uno stato decentrato tramite il riconoscimento di estese autonomie.

 Per avvalorare la sovranità federale possono ricordarsi argomenti emergenti dalla normativa scritta, consuetudinaria e convenzionale attinenti a a) i condizionamenti posti dalla costituzione federale alle costituzioni degli Stati membri; b) la prevalenza del diritto federale su quello degli stati; c) la competenza federale in tema di revisione costituzionale; d) la ripartizione delle competenze fra stato federale e Stati membri nella costituzione federale; e) la garanzia costituzionale del rispetto delle sfere di competenza a opera di un organo federale; f) la vigilanza federale sul rispetto degli obblighi gravanti sugli Stati; g) la adottabilità di misure coercitive da parte di organi federali per garantire il rispetto degli obblighi; h) l’intervento federale al fine di garanzia nei confronti di pericoli per gli ordinamenti degli Stati membri oltre che di quello federale.

 Particolarmente incisivo è il principio di prevalenza della Costituzione e del diritto federale e quindi il fatto che è in tale Costituzione che viene codificato il riparto di competenze fra centro e periferia.

Le competenze

 La questione della ripartizione delle competenze è centrale nel modo in cui si configura una costituzione federale: a seconda del modo di concepire la scelta federalista può variare sensibilmente il rapporto fra Stato centralee Statimembri.

 Inizialmente si riscontra l’esigenza di rispettare a un tempo il principio di autonomia delle determinazioni dei singoli enti territoriali che ne fanno parte e quello di necessaria cooperazione fra i medesimi. Di conseguenza le costituzioni affermano il principio della «esclusività delle competenze» dello Stato federale e degli Stati membri, in modo da garantirne una sorta di autosufficienza, tramite un criterio di separazione su base paritaria. Ciò è vero in particolare nelle più datate costituzioni federali della prima fase liberale, in cui si trova una indicazione dei settori di competenza affidati allo Stato federale tendenzialmente in modo esclusivo (cost. degli Stati Uniti, art. 1, sez. 8, 1o c. e sez. 10, 1o c., art. VI, 2o c.; X emendamento; cost. australiana, art. 52; British North America Act del 1867, art. 91; cost. svizzera del 1874, art. 42). In tale ambito lo stato federale gode della funzione legislativa, esecutiva e giurisdizionale. Gli Stati membri hanno competenza nei settori non assegnati allo Stato federale (cosiddetti poteri residui: cost. degli Stati Uniti, X emendamento; cost. svizzera del 2000, art. 43; cost. tedesca del 1919, art. 5 e del 1949, art. 30; cost. austriaca del 1920, art. 15; in quest’ultima tuttavia non si prevedono competenze locali nell’ambito della funzione giurisdizionale).

 In tutti gli ordinamenti emergono forme di concorso dello Stato federale e degli Stati membri nella titolarità delle competenze, risultando quindi la presenza di sfere di «competenza concorrente». Il favore anche sul piano formale per una disciplina congiunta delle competenze si consoliderà soltanto al momento dell’affermarsi del cosiddetto «federalismo cooperativo» (cfr. le leggi di revisione della costituzione svizzera a partire da quella del 1947, la riforma costituzionale tedesca degli anni 1967-1969 e quella austriaca del 1974), che prenderà atto della necessaria e istituzionale interrelazione fra livello della sfera di competenza federale e livello di quella degli Stati membri, superando la originaria impostazione della separazione in chiave garantista dei medesimi e condannando al declino l’iniziale scelta diretta ad affermare competenze esclusive.

 Accanto alla impostazione paritaria dei rapporti fra Stato federale e Stati membri in termini di separazione o di concorrenza fra le rispettive sfere di competenza con riferimento alla funzione legislativa, le costituzioni si preoccupano di regolare in via gerarchica i rapporti relativi alla esecuzione della legislazione. In tale senso si trova sia la competenza federale di esecuzione in via amministrativa di leggi federali, che quella degli Stati membri relativamente alla loro legislazione; ma si trova altresì largamente adottato il principio della esecuzione tramite atti degli Stati membri della legislazione federale (cost. austriaca, art. 11; Legge fondamentale tedesca, art. 83).

 I sopra accennati principi paritario e gerarchico di attribuzione di competenza vanno oggi inseriti in uno «schema cooperativo» che costituisce una delle caratteristiche comuni agli ordinamenti federali. Tale principio comporta il ricorso a un esercizio congiunto di competenze e le costituzioni conoscono diverse forme di tale collaborazione che è divenuta elemento caratteristico degli ordinamenti federali e cornice di riferimento anche per l’uso delle competenze in materia legislativa ed esecutiva che sono state in precedenza ricordate. Tradizionalmente le forme di collaborazione sono definite orizzontali, ove intercorrano fra Stati membri, verticali, ove intercorrano fra Stato federale e Stati membri. In effetti, sia le esigenze unitarie scaturite dalle grandi crisi politiche ed economiche internazionali, sia quelle diffuse ovunque dello Stato sociale, hanno finito per imporre la preminenza di un’unica istanza di indirizzo cui affidare le strategie di intervento. Tale istanza è lo Stato centrale. Come parziale rimedio a tale situazione si è scoperta la formula del federalismo «cooperativo» (o «contrattato» o «coordinato», secondo le diverse terminologie impiegate) che sta a significare che non è possibile interpretare le formule organizzative che vedono il riparto di competenze fra centro e periferia come si faceva in passato, in chiave soltanto garantistica, in modo che ogni ente potesse disciplinare l’ambito assegnatogli autonomamente da condizionamenti di altri soggetti indicati in Costituzione. Il modulo da utilizzare sarebbe allora quello dell’intesa fra soggetti tendenzialmente equiordinati, per cui l’uso delle competenze garantite potrebbe essere svolto in modo separato e differenziato, ma sempre utilizzando criteri di collegamento, in modo che in pratica ogni intervento si inserisca in un quadro armonico. Ma il modello del federalismo cooperativo, che riceve larghi consensi ovunque, non esclude che queste forme di cooperazione risultino essere pilotate dallo Stato federale che finisce per rivelarsi protagonista del coordinamento.

Il concorso alle funzioni statali e la seconda camera federale

 Gli Stati membri di Stati federali non soltanto hanno un’autonomia esplicantesi nella potestà di darsi una «costituzione», compatibile con quella federale, e di adottare atti normativi e amministrativi, ma concorrono a organi e funzioni statali. Come indice di tale collegamento alle strutture e alle funzioni federali si indicano: a) la partecipazione al procedimento di revisione costituzionale; b) la partecipazione al governo federale; c) la partecipazione al Parlamento federale.

 Una particolare e nota caratteristica concerne la presenza in tutti gli ordinamenti federali di una camera parlamentare che è considerata camera di rappresentanza degli interessi degli Stati membri (camera degli Stati, camera alta), mentre un’altra assemblea è considerata come camera di rappresentanza degli interessi nazionali (camera bassa). Secondo il disegno del costituente nordamericano si sarebbe affermato il principio della presenza paritetica (eguale rappresentanza) degli Stati membri nella camera alta accanto a quello della presenza delle loro popolazioni in modo proporzionale nella camera bassa.

 Va tuttavia notato che le camere alte si sono progressivamente affermate come assemblee parlamentari «nazionali», a opera del ruolo unificante svolto dai grandi partiti. Le camere alte sono quindi centri di rappresentanza di interessi nazionali, al pari delle camere basse, come dimostrano le norme che prevedono per i loro membri il divieto del mandato imperativo (art. 161, 1o c., cost. svizzera e art. 56 cost. austriaca).

 Nello Stato federale il modello organizzativo bicamerale presenta caratteristiche particolari rispetto a quanto si verifica negli altri ordinamenti a struttura bicamerale. Va ricordato, in particolare, che la seconda camera può essere composta da parlamentari rappresentanti gli Stati di appartenenza ma dotati di autonomia politica, svincolati da mandato imperativo, come si è notato (la seconda camera come Senato: Stati Uniti, Svizzera, Austria, Australia, Canada, Belgio), oppure può essere composta da delegati dei governi degli Stati di appartenenza, vincolati da direttive politiche, riecheggiandosi il modello degli organismi collegiali internazionali (la seconda camera come consiglio, propria della tradizione costituzionale tedesca).

 Nei diversi ordinamenti esistono criteri particolari quanto alla scelta dei componenti le assemblee e l’assegnazione dei seggi. Mentre la camera bassa è eletta a suffragio universale diretto, quella alta è formata secondo svariate modalità: i suoi membri possono essere componenti dei governi degli Stati membri (Germania), essere nominati dal governo federale (Canada), essere eletti dai corpi elettorali degli Stati o dalle assemblee legislative. I seggi spettanti agli Stati nella camera alta possono essere attribuiti in base al principio della eguale rappresentanza (due per ogni Stato negli Stati Uniti e in Svizzera, dove però i mezzocantoni hanno un solo seggio) o tenendo conto della consistenza numerica delle popolazioni (Germania, Austria, Canada).

 Per quanto riguarda i profili funzionali, di massima le due assemblee hanno attribuzioni equivalenti nel procedimento legislativo, eccezion fatta per una preferenza per la camera bassa in materia finanziaria e fiscale. In Austria e Germania le camere alte hanno potere di veto sulla legislazione votata dalla camera bassa, rimovibile con votazioni a maggioranza qualificata, e la camera alta tedesca ha un particolare ruolo in tema di votazione della legislazione che incide sugli interessi dei Länder. Negli ordinamenti a forma di governo parlamentare il rapporto politico fiduciario si instaura di massima fra governo e camera bassa, non mancando però alla camera alta attribuzioni ispettive e di controllo che possono condizionare il governo.

Federalismo e regionalismo

 Esiste una tradizionale distinzione fra Stato federale e Stato regionale derivante dall’origine storica delle due formule organizzative. Nel primo caso lo Stato si è formato tramite l’aggregazione di precedenti Stati sovrani, nel secondo uno Stato unitario ha attuato un decentramento riconoscendo enti autonomi territoriali. Tra le varie differenze che vengono elencate si aggiunga: che gli stati membri hanno una autonomia costituzionale, potendosi dare una propria Costituzione, mentre le regioni hanno soltanto autonomia statutaria e legislativa; che gli Stati membri sono titolari di tutte le competenze non attribuite allo Stato federale, mentre le regioni sono titolari delle sole competenze loro assegnate rimanendo quelle residue allo Stato; che nello Stato regionale non esiste una seconda camera rappresentativa degli interessi territoriali; che le regioni non partecipano ai procedimenti di revisione costituzionale, e non sono titolari di funzioni giurisdizionali.

 In realtà gli argomenti addotti per indicare una differenza qualitativa fra modello di Stato regionale e modello di Stato federale sembrano destituiti di fondamento.

 Per quanto riguarda la autonomia «costituzionale» degli Stati membri di Stati federali, va messo in risalto che le cosiddette costituzioni statali non sono espressione di un libero potere costituente, in quanto sono condizionate dalla costituzione federale che pone vincoli puntuali all’autonomia degli Stati membri. Infatti, tutte le costituzioni federali impongono il rispetto dei principi relativi alla forma di Stato (quali il principio repubblicano, democratico, della garanzia dei diritti fondamentali: art. IV, sez. 4o cost. Stati Uniti; art. 51, 1o c., cost. svizzera; art. 28 Legge fondamentale tedesca).

 Per quanto riguarda i criteri di attribuzione di competenze, esistono esempi di costituzioni federali che prevedono la attribuzione di competenze agli Stati membri e quindi i poteri residui a favore dello Stato centrale (il British North America Act del 1867, contiene la lista delle attribuzioni federali, art. 91 e quella delle competenze degli Stati, artt. 92 e 92 A). Esistono anche costituzioni di Stati definiti regionali che comportano la elencazione di competenze dello Stato, oltre a quella delle regioni (cost. Spagna, 1978, artt. 149 e 148; Italia, dopo la revisione del 2001, art. 117, 2o c.), mentre in altri casi si attribuiscono espressamente alle regioni i poteri residui (cfr. per Madera e Azzorre, l’art. 228, cost. Portogallo, 1976; Italia, art. 117 cost., 4o c., cost.).

 Per quanto riguarda l’assenza di una seconda camera di rappresentanza degli interessi regionali, da una parte può ricordarsi l’esempio del Senato previsto dalla costituzione spagnola, in cui parte dei senatori è designata dalle Comunità autonome (art. 64 cost.), ma, soprattutto, va ricordato che le seconde camere «federali» sono sempre più considerate rappresentative di interessi nazionali al pari delle camere basse.

 Per quanto riguarda la funzione giurisdizionale, mentre esistono esempi di ordinamenti federali in cui gli Stati membri ne sono privi (cost. austriaca, art. 82, 1), esiste qualche esempio di partecipazione delle regioni all’organizzazione delle strutture giudiziarie (cfr. art. 152 cost. spagnola e art. 99 cost. belga).

 Sembra, complessivamente, che i tratti distintivi dei due modelli, federale e regionale, non siano così certi come tradizionalmente si sostiene, mentre numerosi e generalizzati sono i profili di convergenza, per cui si può ritenere che le differenze investano non tanto la formula unificante del decentramento dello Stato unitario tramite enti politici territoriali dotati di autonomia, quanto i contenuti di tale autonomia che in genere è più ampia per gli enti che formano ordinamenti tradizionalmente qualificati come federali.

 Un elemento che accomuna i due modelli è quello della asimmetria e differenziazione dei propri enti sub-statali relativamente alle competenze che questi possono esercitare. Se lo Stato federale classico si caratterizza per un forte grado di omogeneità delle proprie componenti (Usa, Germania, nei quali le differenze sono più di fatto che giuridiche e istituzionali), vi sono esempi, come quello austriaco, in cui è palese un certo grado di differenziazione o asimmetria, che è ancor più evidente in Stati regionali come Spagna e Italia, nei quali l’autonomia di alcune entità territoriali è molto più forte, anche per motivi storici, che quella delle altre regioni meno «rivendicative» (si pensi al Paese Basco e alla Catalogna in Spagna e all’Alto Adige/Südtirol in Italia).

 Entrambi i modelli federale e regionale, se dunque esistono, rispondono alle esigenze che la globalizzazione, da un lato, e la localizzazione, dall’altro, pongono e richiedono per elaborare e forgiare nuovi modelli politici e istituzionali atti a governare la complessità che caratterizza le attuali società.

Bibliografia

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Brano tratto dal "Dizionario del liberalismo italiano", edito da Rubbettino Editore. Clicca qui per acquistarlo con il 15% di sconto