Governo (forme di)
di Ginevra Cerrina Feroni
Con il termine forma di governo si indica l’insieme delle regole che caratterizzano la distribuzione del potere fra i supremi organi dello stato posti in condizione di parità e di reciproca indipendenza (organi costituzionali). Vari sono stati i criteri elaborati per classificare le forme di governo: già nell’antichità Aristotele distingueva tra forme buone di governo, la monarchia, l’aristocrazia, la politeia e (le corrispondenti) forme degenerate, ovvero la tirannia, l’oligarchia e la democrazia. Con l’avvento del costituzionalismo la forma di governo viene collegata in modo diretto al suo presupposto essenziale, ovvero la separazione tra i poteri. Si sono così classificate le forme di governo facendo, ad esempio, riferimento al «grado di separazione esistente tra i poteri» e che porta a distinguere tra forme di governo a separazione rigida (es. monarchico-costituzionali o presidenziali) e a separazione flessibile (es. parlamentare); o distinguendo forme di governo monistiche o dualistiche a seconda dell’esistenza di un rapporto di supremazia o di equilibrio tra l’organo esecutivo e quello legislativo (nelle prime si fanno rientrare la forma di governo parlamentare a prevalenza dell’assemblea o del governo e direttoriale, nelle seconde la monarchia costituzionale, la presidenziale e la parlamentare classica); o facendo riferimento all’organo titolare della funzione di indirizzo politico (e quindi distinguendo tra forma di governo costituzionale pura, costituzionale parlamentare, costituzionale direttoriale a seconda che tale organo venga individuato rispettivamente nel capo dello stato, nel raccordo governo-parlamento o nell’organo collegiale direttorio che svolge congiuntamente le funzioni di governo e di capo dello stato). Maggiormente utilizzati sono tuttavia i criteri che fanno riferimento al tipo di rapporti che intercorrono tra governo e parlamento, specialmente sotto il profilo della esistenza o meno tra essi di un rapporto di fiducia e quelli che fanno riferimento al modo di derivazione e al ruolo del capo dello stato. In base a detti due criteri è possibile classificare quattro categorie di forme di governo.
1) La forma di governo parlamentare. Storicamente essa trova la propria origine nella monarchia costituzionale. Quest’ultima ha segnato il passaggio dallo stato assoluto a quello liberale. Ha avuto diffusione in Francia dall’epoca della rivoluzione (1791) fino al 1830 (ovvero fino alla costituzione di Luigi Filippo poiché dopo diventa monarchia parlamentare), in Belgio (cost. 1831), nel Regno di Sardegna per pochi anni (1848), prima del sorgere del Regno d’Italia, in Germania fino alla Costituzione di Weimar (1919) e naturalmente in Gran Bretagna. Nella monarchia costituzionale non vi è rapporto fiduciario tra governo e parlamento e i ministri sono politicamente responsabili nei confronti del capo di stato monarchico, titolare del potere esecutivo e dell’indirizzo politico. Tale forma di governo si fonda su una separazione dei poteri abbastanza netta: potere legislativo al parlamento; potere esecutivo al re. Tuttavia il sovrano partecipa all’esercizio della funzione legislativa attraverso la sanzione delle leggi approvate dal parlamento e alla funzione giurisdizionale attraverso la nomina dei giudici e il potere di concedere la grazia e di commutare le pene. Inoltre il sovrano può sciogliere la camera elettiva, il che avviene quando la maggioranza parlamentare contrasti con i suoi indirizzi di governo, e quello di scegliere come ministri persone di sua fiducia e non politicamente responsabili davanti all’assemblea (secondo la formula classica prevista ad esempio nell’art. 65 Statuto albertino: il re nomina e revoca i «suoi» ministri). Il consiglio dei ministri, che coadiuva il re nelle sue decisioni non è un organo costituzionale a sé stante; il rapporto del governo è infatti solo col re e non con il parlamento. Pur essendo il monarca il vero titolare dell’indirizzo politico, il parlamento è in grado di: 1) condizionare il monarca sulle entrate e sulla loro destinazione; 2) procedere alla messa in stato di accusa dei ministri che controfirmano gli atti del sovrano (solo la camera elettiva). In Gran Bretagna, la monarchia costituzionale si trasforma in via consuetudinaria in monarchia parlamentare. Detto passaggio è convenzionalmente fissato nel 1782 quando il re Giorgio III accetta le dimissioni di Lord North sfiduciato dalla camera dei comuni. Da questo momento nasce la forma di governo parlamentare (monarchia parlamentare), in quanto è il parlamento ad acquisire una netta prevalenza sul sovrano. Quest’ultimo infatti, aldilà delle prerogative che continuano a essergli formalmente riconosciute, diventa estraneo alla determinazione dell’indirizzo politico. Il governo, come organo collegiale, acquista invece un rilievo autonomo rispetto al sovrano nel senso che esso diventa responsabile non verso quest’ultimo ma solo nei confronti del Parlamento.
La forma di governo parlamentare è il modello che ha avuto nel mondo maggiore diffusione e un gran numero di varianti: si pensi, ad esempio, alla forma di governo parlamentare a prevalenza del governo (Regno Unito); o alla forma di governo parlamentare a prevalenza dell’assemblea (III Repubblica francese); o anche alle forme di governo parlamentare cosiddette razionalizzate (Weimar 1919, Finlandia 1919, Austria 1920, Francia 1946, Italia 1947, Germania 1949, Danimarca 1953, Grecia 1975) con ciò intendendo sistemi che adottano la forma di governo parlamentare, proponendosi però di razionalizzarne il funzionamento, al fine di garantire la democraticità e l’efficienza dell’azione di governo (es. disciplina della investitura del governo, della mozione di sfiducia, della questione di fiducia). La fortuna di tale modello è in buona misura dovuta alla sua estrema flessibilità e possibilità di adattamento. Tale forma di governo può infatti essere recepita sia in forme di Stato monarchico, laddovela funzione di capo dello stato è assunta da un re, designato per via ereditaria e dinastica, sia in forme di stato repubblicano,dove la carica di capo di stato spetta invece a un presidente della repubblica eletto, con un mandato temporaneo, dal parlamento. Alla base dello stato e, quindi, al centro del sistema, vi è infatti un unico potere, quello del parlamento, che è eletto direttamente dal popolo e al quale compete la funzione legislativa e il compito di esprimere il governo e di controllarne l’operato. La forma di governo parlamentare si caratterizza per l’esistenza di un rapporto di fiducia tra governo e parlamento. Il governo infatti che detiene il potere esecutivo, costituisce emanazione permanente del parlamento e deve ottenere e mantenere la fiducia da parte di quest’ultimo. La fiducia iniziale può essere esplicita (come in Italia, Germania, Spagna), o presunta, laddove non vi sia un voto di fiducia iniziale (Inghilterra); rivolta al governo come organo collegiale (Italia, Grecia, Belgio) o solo al suo vertice (Germania, Spagna); votata a maggioranza relativa (Italia, Grecia), o a maggioranza assoluta quantomeno nelle prime votazioni (Germania, Spagna). Quando tale fiducia viene a mancare, il governo è costretto a dimettersi. Diverse sono le modalità che le costituzioni prescrivono nel disciplinare la sfiducia parlamentare. Da segnalare gli ordinamenti che, al fine di assicurare una maggiore stabilità all’esecutivo e la continuità della sua azione, impongono la cosiddetta sfiducia costruttiva (Germania, Spagna, Belgio), ovvero la possibilità di esprimere la sfiducia al primo ministro solo eleggendo contestualmente un successore (con la maggioranza assoluta dei propri membri). Al potere del parlamento di votare la sfiducia al governo, fa normalmente da contrappeso il potere, attribuito di norma al capo dello stato, di sciogliere anticipatamente il parlamento e di indire elezioni. Nella forma di governo parlamentare il capo dello stato sia esso un monarca, sia esso un presidente eletto da un organo parlamentare non partecipa alla determinazione dell’indirizzo politico. Ruolo decisivo è assunto in tale forma di governo dalla maggioranza parlamentare costituita dal partito o dalla coalizione di partiti che ha vinto le elezioni, conquistando così la maggioranza dei seggi in parlamento.Viene talvolta considerata una variante della forma di governo parlamentare l’ipotesi in cui il primo ministro non derivi dal parlamento bensì da una elezione a suffragio universale da parte del corpo elettorale che si verifica contestualmente a quella del parlamento. In questo modello il parlamento può sfiduciare il primo ministro ma in tal caso è automaticamente sciolto e il primo ministro può sciogliere il parlamento ma ciò comporta automaticamente le sue dimissioni (si tratta del principio simul aut stabunt simul aut cadent applicato ad esempio in Israele dal 1992 al 2001).
Oggi le tendenze del parlamentarismo contemporaneo vanno nella direzione: 1) di una sempre maggiore razionalizzazione dei rapporti governo-parlamento; 2) di una prevalenza del governo rispetto al parlamento; 3) di un rafforzamento del ruolo del primo ministro nell’ambito del governo.
2) Tradizionalmente si ritiene che si sia in presenza di una forma di governo presidenziale cd. «puro» quando risultano soddisfatte congiuntamente tre distinte condizioni: 1) l’elezione popolare diretta del capo dello stato per una durata prefissata di tempo; 2) il parlamento non può insediare, né abbattere il governo, mancando tra essi il vincolo fiduciario; il parlamento, dal canto suo, non può essere sciolto dal presidente; 3) il presidente, infine, presiede e dirige i governi da lui nominati. I governi sono una prerogativa presidenziale, in quanto è il presidente che nomina e sostituisce a sua discrezione i membri dell’esecutivo. L’unico ordinamento di democrazia consolidata che ha incarnato con continuità e con esiti positivi tale modello è stato quello degli Stati Uniti. Le numerose «imitazioni» della forma di governo nordamericana che si sono avute nel centro e nel sud America, in Asia e in Africa hanno infatti dato vita a un regime nettamente sbilanciato a favore del potere esecutivo e del capo dello stato e tanto degenerativo rispetto al modello originario da essere definito «presidenzialista». L’ordinamento costituzionale nordamericano, fondato sulla costituzione di Filadelfia del 1787 (che rappresenta la più antica costituzione scritta tuttora vigente) è stato il frutto progressivo di condizioni storiche, sociali, politiche difficilmente ripetibili. È noto che i padri fondatori, nella elaborazione della carta costituzionale, hanno tenuto in considerazione il modello della monarchia costituzionale inglese fondata sull’equilibrio dualistico tra un esecutivo di carattere monocratico e il parlamento. Il cosiddetto modello Washington è caratterizzato principalmente dalla divisione-separazione dei poteri, nel senso che il potere esecutivo viene affidato a un presidente che ha una forte legittimazione democratica, essendo eletto per quattro anni non direttamente dal corpo elettorale, ma da un collegio di grandi elettori eletti nei singoli stati (pari al numero dei deputati e senatori attribuiti a ciascuno di questi), il cui mandato è però politicamente vincolato alla scelta del candidato designato dal rispettivo partito. Come capo dell’esecutivo, il presidente dal quale dipende tutta l’amministrazione federale, si avvale di propri fiduciari, che non possono essere membri del congresso, né partecipare alle sue riunioni e che vengono preposti, peraltro con l’approvazione del senato, ai singoli dicasteri amministrativi. La riunione periodica di tali collaboratori presidenziali – fra i quali assume un certo rilievo il segretario di stato, posto al vertice del dipartimento di stato e incaricato delle relazione estere – avviene a livello di gabinetto; ma deve precisarsi che quest’ultimo non costituisce un organo formale dotato della propria autonomia sul piano giuridico o politico, essendo la titolarità del potere esecutivo assolutamente esclusiva e personale, disponendo il presidente anche – come si è detto – della facoltà di revoca dell’incarico di tutti i collaboratori. Il potere legislativo viene affidato a un parlamento (congresso), costituito da due camere: la camera dei rappresentanti, eletta per due anni dall’intero corpo elettorale e il senato eletto ogni sei anni, ma rinnovato per un terzo ogni biennio e composto da 100 membri (due per ogni stato), designati in origine dai parlamenti dei singoli stati e a partire dal 1913 dai rispettivi corpi elettorali. Infine il potere giudiziario è attribuito alla corte suprema federale e alle corti di grado inferiori. Tale rigida divisione dei poteri derivante, come si è detto, dall’inesistenza del rapporto di fiducia tra congresso e esecutivo e del potere di scioglimento del congresso da parte del presidente, nonché dall’attribuzione a ciascuno di essi di una funzione esclusiva, deve tuttavia essere combinato con quello del bilanciamento dei poteri, in base al quale, attraverso un sistema di checksand balances, ogni organo cui è affidata la direzione politica del Paese ha la possibilità di controllare e di condizionare gli altri nell’esercizio delle rispettive funzioni. La costituzione federale riconosce ad esempio al presidente uno strumento formale di condizionamento nei confronti del congresso, che è dato dal potere di veto sospensivo delle leggi approvate dal parlamento, il quale ultimo può superare l’opposizione presidenziale solo tramite una ulteriore votazione ma a maggioranza dei due terzi. Da parte sua il congresso, attraverso la funzione legislativa, in particolare quella che si esplica nell’approvazione del bilancio e delle più importanti leggi di spesa, decide in che misura stanziare i fondi che occorrono al Presidente per attuare la sua politica. Il congresso esercita poi poteri di controllo che si svolgono tramite le commissioni permanenti (standing committees), le quali procedono frequentemente a udienze conoscitive, le cosiddette hearings, o apposite commissioni di indagine (investigating committees), di fronte alle quali possono essere obbligati a deporre sia pubblici funzionari, sia privati cittadini. Specifici poteri di controllo sono attribuiti al senato, il quale deve dare il suo consenso alle nomine presidenziali dei funzionari federali e dei membri della corte suprema e, a maggioranza dei 2/3 dei presenti, ai trattati conclusi dal presidente, anche se quest’ultimo spesso si sottrae al controllo del senato stipulando accordi internazionali in forma semplificata (executive agreements) anche su materie di notevole rilievo, il che costituisce un’evidente forzatura del testo costituzionale. La camera dei rappresentanti ha il potere di messa in stato di accusa del presidente e di ogni altro funzionario federale, imputandoli di concussione o di altri gravi reati. In tale ipotesi essi sono giudicati dal senato e, in caso di condanna pronunciata a maggioranza dei 2/3 dei presenti, sono rimossi dalla carica, il che non esclude che possano essere sottoposti a giudizio penale ordinario.
Occorre notare come in virtù della rigida separazione dei poteri che caratterizza la forma di governo presidenziale, la funzione di controllo del congresso sull’attività dell’esecutivo non può produrre quegli effetti che il concetto tradizionale di controllo presuppone nel regime parlamentare. Infatti non esistendo una responsabilità politica da far valere non è possibile neppure applicare la sanzione consistente nella rimozione del governo che non goda più dell’appoggio di una maggioranza in seno al congresso. L’esercizio dei poteri di controllo, non essendo finalizzato alla sostituzione del governo in carica, mira principalmente a condizionare la politica presidenziale e a provocare un atteggiamento più o meno ostile da parte dell’opinione pubblica nei confronti della politica governativa che si potrà successivamente tradurre in uno spostamento dell’elettorato in senso sfavorevole al partito del presidente.
3) Con il termine forma di governo semipresidenziale si fa riferimento a un modello che è stato originariamente costruito sulla base dell’analisi di una determinata esperienza storica ritenuta esemplare e cioè la V Repubblica francese. Tuttavia tale schema teorico si è col tempo distaccato dal modello originario francese per essere applicato anche ad altre esperienze costituzionali, acquisendo così una propria autonomia scientifica e incontrando immediata fortuna. Si definisce semipresidenziale un sistema politico che presenti congiuntamente le seguenti caratteristiche: 1) il capo dello stato è eletto con voto popolare per un periodo prestabilito; 2) il capo dello stato condivide il potere esecutivo con un primo ministro, entrando così a far parte di una struttura ad autorità «duale» i cui criteri definitori sono che, da un lato, il presidente è indipendente dal parlamento, ma non gli è concesso di governare da solo o direttamente, dovendo le sue direttive essere mediate dal governo da lui nominato; dall’altro, il primo ministro e il suo gabinetto sono legati al parlamento da un vincolo fiduciario e necessitano del sostegno di una maggioranza parlamentare; 3) la struttura ad autorità duale del semipresidenzialismo consente diversi equilibri e anche mutevoli assetti di potere all’interno dell’esecutivo, purché sussista sempre l’autonomia potenziale di ciascuna unità o componente dell’esecutivo. Si evince già da questa prima definizione che il sistema in questione è un sistema per così dire misto nel quale sono presenti, sia pur in diversa misura, caratteristiche proprie sia del sistema presidenziale che di quello parlamentare. Del primo, l’elezione popolare del presidente della repubblica, titolare di rilevanti poteri; del secondo, la responsabilità politica del governo nei confronti del parlamento. Taluni contestano la definizione di semipresidenzialismo e considerano i sistemi indicati come forme di «governo parlamentare a tendenza presidenziale» o a «correttivo presidenziale»; tuttavia, dal punto di vista teorico, l’esistenza di un capo dello stato parte integrante del potere esecutivo e legittimato dal suffragio universale, consente a quest’ultimo di svolgere, almeno potenzialmente, un ruolo di politica attiva non certo compatibile con lo schema parlamentare monistico, basato sulla estraneità dello stesso alla determinazione dell’indirizzo politico. Altri considerano, invece, il sistema semipresidenziale come una variante della forma di governo presidenziale o forma di governo «presidenzialista» prendendo come modello di riferimento soprattutto quello della V Repubblica francese; tuttavia aldilà della presenza di un presidente eletto dal popolo, o per lo meno, di un presidente non eletto nel e dal parlamento, le due forme differiscono in modo radicale: il semipresidenzialismo è «semi» proprio in quanto dimezza il presidenzialismo, sostituendo una struttura ad autorità sdoppiata alla struttura ad autorità monocentrica. I sistemi semipresidenziali, a differenza di quelli presidenziali, operano sulla base di un potere condiviso: il presidente deve condividere il potere con un primo ministro; il primo ministro, a sua volta, deve contare su uno stabile sostegno parlamentare; il presidente ha il potere di sciogliere l’assemblea. Sono tutti elementi che rendono il modello semipresidenziale incompatibile con quello presidenziale. Da tali elementi se ne ricava che la forma di governo semipresidenziale costituisca una forma a sé stante, distinta da quella parlamentare e da quella presidenziale, nella quale assumono rilevanza alcuni fattori variabili che incidono sulla dinamica dei rapporti tra i poteri e che sono tali da connotare, di volta in volta, il sistema. Tali fattori sono stati individuati nei seguenti: a) il ricorso o meno del presidente della repubblica ai poteri che la costituzione gli attribuisce, con una prevalenza, rispettivamente, della componente presidenziale o di quella parlamentare della forma di governo; b) l’esistenza o meno di una stabile maggioranza parlamentare, con una prevalenza, rispettivamente, del presidente o del primo ministro (in quest’ultima ipotesi, comunque, con un ruolo significativo del presidente, derivante dalla incertezza e dalla variabilità delle maggioranze); c) il tipo di rapporti intercorrenti tra presidente della repubblica e maggioranza parlamentare, che può dar vita a tre distinte ipotesi: presidente come leader della maggioranza con conseguente esaltazione del suo ruolo; presidente politicamente contrapposto alla maggioranza e quindi ridotto a svolgere una funzione di controllo e di freno nei confronti della politica scaturente dal raccordo governo-maggioranza parlamentare; presidente espressione della maggioranza, ma personalità politica di secondo piano e pertanto sostanzialmente estraneo all’indirizzo politico stabilito dal primo ministro e dal governo.
Come anticipato, l’esperienza che comunemente viene considerata il prototipo di modello semipresidenziale è quella della Quinta Repubblica francese, per la quale, peraltro, si discute se essa costituisca un autentico sistema misto fondato su una struttura di autorità flessibile e cioè su un Esecutivo «bicefalo» nel quale può prevalere, alla guida dell’esecutivo, il presidente sul primo ministro o viceversa di un mero «avvicendamento» tra fasi presidenziali e fasi parlamentari, per cui il sistema francese è presidenziale quando la maggioranza del presidente e la maggioranza parlamentare sono consonanti ed è invece parlamentare quando divergono. Nel modello semipresidenziale si fanno rientrare anche esperienze diverse del passato (la Repubblica di Weimar) e del presente (la Finlandia, l’Austria, l’Irlanda, l’Islanda, il Portogallo). Tuttavia in Irlanda, Islanda e Austria il funzionamento pratico della forma di governo non è stato diverso da quello di un sistema parlamentare di gabinetto o del primo ministro, tanto che tali ordinamenti vengono comunemente definiti «semipresidenzialismi apparenti». Tra quelle che invece vengono definite esperienze di semipresidenzialismo «reale», deve rammentarsi il sistema portoghese, nel quale però il presidente della repubblica ha potuto giocare un ruolo davvero significativo soltanto per pochi anni, dal 1976 fino al 1982, cioè fino al momento in cui è intervenuta una modifica della costituzione che ha inciso notevolmente sui poteri del capo dello stato. In Finlandia, la costituzione del 1919 assegna al capo dello stato, eletto a suffragio universale, un ruolo non particolarmente significativo, nel senso che i suoi poteri non sono di gran lunga più ampi di quelli generalmente conferiti a un capo di stato parlamentare. Tuttavia le circostanze storiche hanno esaltato tali funzioni, assegnando al presidente un ruolo importante nella formazione dei governi, anche considerato il forte multipartitismo esistente, e soprattutto un forte peso politico in materia di politica estera, specialmente per tutte le relazioni con L’Unione Sovietica. Infine è da ricordare la costituzione della Repubblica di Weimar del 1919, considerata il prototipo della forma di governo semipresidenziale sia per la componente parlamentare basata sul raccordo fiduciario tra camera elettiva e governo, sia soprattutto per quella presidenziale-plebiscitaria fondata sul rapporto diretto tra capo dello stato (eletto a suffragio universale diretto per sette anni) e corpo elettorale. Caratteristica di tale modello è la legittimazione del capo dello stato, in situazioni di emergenza, a governare – in concorso col cancelliere – emanando decreti aventi forza di legge; a designare e revocare il cancelliere con ampia discrezionalità; a revocare nello stesso modo i ministri; a dar vita a governi senza che fosse necessario un voto di investitura da parte del reichstag; a sciogliere il reichstag con ampia discrezione; a sottoporre a referendum popolare qualsiasi legge approvata dal reichstag, avvalendosene come una sorta di potere di veto. Il dato più significativo degli ultimi anni è, infine, rappresentato dall’importazione e dalla diffusione nei paesi dell’Europa centro-orientale di alcuni elementi dell’esperienza costituzionale francese.
4)La forma di governo direttorialecostituisce un unicum nel panorama costituzionale, essendo oggi adottata dalla sola confederazione svizzera (sebbene alcuni vi comprendano l’esperienza dell’Uruguay dal 1919 al 1933 e dal 1952 al 1966). Si tratta del modello contemplato dalla Costituzione francese del 1795, detta appunto «Direttoriale» per la presenza accanto a un parlamento bicamerale, di un direttorio di cinque membri eletti dal primo ma non da esso revocabili, che svolgeva contemporaneamente sia le funzioni di governo sia quelle di capo dello stato collegiale. Tra il parlamento e il direttorio sussisteva un’assoluta separazione dei poteri, perché i direttori erano investiti del potere esecutivo (sicurezza interna, relazioni diplomatiche, esecuzione delle leggi attraverso regolamenti), ma non avevano né diritto d’iniziativa legislativa, né diritto di veto. Allo stesso modo il parlamento non poteva revocare i direttori, ma solamente porli in stato d’accusa innanzi a un’alta corte di giustizia per delitti commessi nell’esercizio delle funzioni. In Svizzera tale modello – che è stato importato dalle armate francesi nel 1789 – si caratterizza per i seguenti elementi: a) il parlamento, ovvero l’assemblea federale formata dalla riunione delle due camere (il consiglio nazionale di 200 membri in rappresentanza del popolo, e il consiglio degli stati di 46, in rappresentanza dei 23 cantoni) elegge individualmente i sette membri del governo (consiglio federale) per un tempo predeterminato, ovvero i quattro anni della legislatura; b) il governo, una volta eletto, non può essere sfiduciato dal parlamento, né può procedere allo scioglimento anticipato del parlamento; c) fra i sette membri del consiglio – eletti sulla base di regole convenzionali che assicurano la rappresentatività dei cantoni, dei gruppi etnici, delle confessioni religiose e dei quattro maggiori partiti – uno di essi assume a rotazione per un anno la carica di presidente della confederazione. Detta carica non comporta tuttavia una posizione di preminenza del presidente sugli altri membri. Sulla base della mera lettera della costituzione del 1999, l’assemblea federale esercita «il potere supremo della confederazione», mentre il consiglio federale è «la suprema autorità direttiva ed esecutiva della Confederazione», per cui il parlamento è titolare dell’indirizzo politico, mentre il consiglio dovrebbe svolgere un ruolo prevalentemente esecutivo-amministrativo. Tuttavia sulla base di una interpretazione sistematica della Costituzione e volgendo l’attenzione all’effettività dei rapporti tra poteri, si conclude che il Consiglio ha una posizione di preminenza certa sull’assemblea. Tale peculiare forma di governo può infine comprendersi anche alla luce delle peculiarità dell’ordinamento svizzero rappresentate, da un lato, dal fatto di essere un esempio di stato plurinazionale, in quanto comprendente una molteplicità di comunità etniche, linguistiche e religiose, forgiate a loro volta su una tradizione plurisecolare di autonomia a livello cantonale e cittadino; dall’altro, dal fatto di utilizzare in maniera massiccia istituti di democrazia diretta, quali in particolare lo strumento referendario.
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