Dottrinario
di Luigi Compagna
Nell’ambito della storia politica e del pensiero liberale il termine «dottrinario» designa un quasi partito politico (il «partito dei dottrinari») che si costituì in Francia dopo la restaurazione di Luigi XVIII. Il partito – i cui più importanti rappresentanti furono Royer-Collard (1763-1845), Guizot (1787-1874), Beugnot (1761-1835), Barante (1782-1866), La Serre (1776-1824), Jordan (1771-1821) e i più giovani De Broglie (1785-1870) e Remusat (1797-1875) – pensava che la restaurazione fosse l’occasione per riconciliare gli ideali della Rivoluzione francese con la monarchia: per dirla con Croce, un’idea non giacobina della libertà con un idea non dispotica della monarchia.
Lo strumento privilegiato per realizzare questa riconciliazione doveva essere una sapiente opera di «ingegneria costituzionale». Convinti difensori della Costituzione del 1814 e sostenitori di quella orleanista del 1830, i dottrinari furono fautori di una monarchia parlamentare bicamerale, capace – secondo il modello inglese – di limitare le prerogative del sovrano, senza pregiudicarne l’incontestato diritto esclusivo di governo. Sostennero senza incertezze l’abolizione dei diritti feudali e la libertà di coscienza e di stampa: proprio ad un dottrinario – Hercule de la Serre – si deve l’approvazione, nel 1819, di una «rivoluzionaria» legge sulla stampa che sottraeva la materia al principio di specialità per affidarla al diritto comune. Il Partito dei dottrinari svolse un ruolo importante nella politica francese fino a quando riuscì a ispirare la politica di Luigi XVIII, costretto nella morsa di una sinistra radicale, repubblicana o bonapartista, e di una destra oltranzista, che non era disposta a riconoscere alcun limite all’autorità del sovrano. I dottrinari, in pratica, guidarono la Francia dopo che Luigi XVIII decise di sciogliere la camera eletta nel 1815 (la Chambre introuvable), nella quale gli ultrarealisti avevano conseguito una schiacciante maggioranza. Sotto il regno di Carlo X il partito perse tutto il suo potere e si dissolse nel 1848 con la Seconda Repubblica.
Nel liberalismo italiano non si formò alcun partito dottrinario a meno di non voler iscrivere, piuttosto grossolanamente, a esso tutti i moderati italiani, da D’Azeglio a Cavour. Il liberale italiano che con maggiore approssimazione si può accostare ai dottrinari transalpini è Pellegrino Rossi. Professore di diritto costituzionale alla Sorbona e amico personale di Guizot, Rossi fu inviato nel 1845 come ambasciatore francese presso la Santa Sede. Divenuto ministro del neo-eletto Pio IX lavorò a una riforma dello Stato pontificio, che fu giudicata troppo audace dalla Curia romana e troppo moderata dai radicali.
Un documento che appare perfettamente in linea con il pensiero dei dottrinari francesi è quel Manifesto delle popolazioni degli Stati Romani ai Principi e ai Popoli d’Europa (meglio conosciuto come Manifesto di Rimini), diffuso nel settembre 1845, e redatto da Carlo Farini, lui pure – forse non a caso – reduce da un breve soggiorno parigino.