Umanesimo liberale

di Antonio Zanfarino

La moderazione pubblica

I caratteri dell’umanesimo liberale sono differenziati e correlati alla pluralità delle forme che il liberalismo assume sul piano teorico, storico e dell’azione politica. Il pensiero liberale non è univoco perché per sua natura è aperto a una varietà di sensibilità esistenziali e sociali, ma non è neppure equivoco perché non recepisce elementi tra di loro incompatibili e repulsivi.

Complessivamente considerata, la teoria liberale esprime una tensione polemica nei confronti di ontologismi, razionalismi, idealismi in cui l’entificazione del bene pubblico soppianti la creazione, la fruizione, la verifica, la trasformazione, la mediazione dei beni particolari. E perciò questa teoria critica una metafisica positiva specificamente determinata nei suoi contenuti e nei suoi fini, rifiuta la sociolatria, la statolatria, la storiolatria, contesta le ambizioni di integrale autoredenzione mondana e privilegia invece una storicità aperta che non considera il potere come la sola forza costitutiva ed esplicativa del divenire, una razionalità evolutiva dissimile dalla ragione cosmica e dall’intellettualismo prescrittivo, una moralità della coscienza opposta a quella dell’obbedienza passiva, del conformismo, del precettismo.

Le dinamiche innovative della libertà non disdegnano le remore delle ragionevolezze pubbliche sperimentate nelle lunghe durate, ma quando penetrano in tutti gli ambiti significativi della conoscenza, dell’etica, della politica e della pratica sociale non rappresentano semplici correzioni e garanzie nei confronti di una realtà ordinata secondo altri valori e altre strutture, e devono affrontare le sfide e le responsabilità di una modernità non più interpretabile attraverso i tradizionali canoni cognitivi, valutativi e commisurativi.

La moderazione pubblica rimane comunque riferimento fondamentale dell’umanesimo liberale che, nelle sue combinazioni di inesauribile aspirazione alla perfettibilità e di permanente accettazione della difettività, educa a lottare contestualmente contro le prevaricazioni del potere, i condizionamenti della stazionarietà e le false liberazioni del perfettismo. Si spiega così perché questo umanesimo si sia formato anche nella dialettica tra lo spirito laico e lo spirito religioso e abbia cercato, pur nelle contese inesauribili tra la secolarizzazione e la trascendenza, di non scindere l’incompiutezza della libertà storica dalla legge metafisica della limitazione.

Il libertarismo

Il liberalismo può però accentuare i suoi orientamenti libertari, animare liberalizzazioni generalizzate delle attività umane e favorire progressive attenuazioni delle stesse obbligazioni morali confidando che i meccanismi della spontaneità siano sempre riequilibranti, le individualizzazioni e le differenziazioni sempre produttive, le competizioni sempre matrici di scoperte positive.

Il simbolismo libertario non è certo estraneo alle istanze liberali, ma non deve svilire l’insieme degli altri simboli che sostengono l’esperienza della libertà. Una cosa è il libertarismo che agisce in una società addestrata all’esercizio della prudenza civile, altra cosa è il libertarismo inficiato da pregiudizi ideologici che dissolve senza discernimento i capitali storici accumulati.

Assertore e garante della società aperta, l’umanesimo liberale percepisce i punti critici oltre i quali una società, diventando astratta, impersonale e virtuale, rischia di trasformarsi in una non società. Questo umanesimo denuncia le costrizioni e le mistificazioni di imperativi sottratti all’umana discussione, ma non crede alla qualità di etiche così disinibite da dissolvere nel vuoto la loro doverosità, non spaccia per disalienazioni le dissipazioni culturali, e d’altra parte non riserva a sé la liceità di sperimentare indefinitamente il suo permissivismo lasciando ad altri ordini spirituali come quello religioso il compito di sostituire le perdite e placare le disillusioni di una libertà disorientata, senza tuttavia che tali richieste impongano al libero arbitrio l’obbligo di un esame di coscienza esistenziale e sociale sui propri limiti.

Nella prospettiva liberale il libertarismo ha un’incidenza più vasta di quella ammessa in una società stazionaria, asseconda emancipazioni inespresse o represse in altri contesti storici, impedisce all’invariabilità dell’essere di trattenere abusivamente le possibilità innovative e creative dell’esistere, ma non è legittimato a scompaginare le connessioni vitali della coesistenza e a svilire la ricerca di giuste proporzioni tra successioni e durate, autonomie e solidarietà, neutralità e scelte, spontaneità e riflessione, calcoli strumentali e ragioni etiche.

Sono così da riconsiderare i problemi di un riformismo liberale che non aspira a trasfigurazioni radicali e a sistematizzazioni compiute delle attività umane, accetta con i vantaggi anche i rischi di una libertà non predeterminata nelle sue espansioni, ma stabilisce indispensabili misure protettive per rendere più benigna la realtà storica e sociale.

L’umanesimo liberale vuole accrescere con l’emulazione delle energie creative la ricchezza materiale e culturale della collettività, ma paventa il dilagare di competizioni degradate e degradanti che fomentano scissioni, corruzioni e antagonismi distruttivi. Di qui il suo dovere di esercitare un controllo critico sui protagonisti, sulle materie, sulle destinazioni, sugli effetti delle concorrenze e l’obbligo di garantire dotazioni storicamente acquisite anche attraverso idee, conoscenze, attività non competitive o diversamente competitive che hanno un ruolo importante nel mantenere la vita sociale nei limiti dell’umanità e nel consentire una disciplina normativa della libertà.

Formalismo e antropologia

L’accettazione della complessità, della perfettibilità e della difettività configura l’umanesimo liberale – sempre in creazione di se stesso, sempre critico e problematico – come un formalismo etico-politico che contiene nelle sue capienze qualitative un insieme di elementi differenziati, convergenti e divergenti, solidali e competitivi nella valutazione di ciò che secondo le diverse situazioni e possibilità storiche serve all’incivilimento della collettività.

Tale formalismo non drammatizza obbligazioni sproporzionate alle capacità di produzione, distribuzione e assimilazione delle esperienze comuni, ma non gioca con tutte le ipotesi, rispetta le compatibilità che la libertà richiede alle sue indefinite determinazioni, non promette massimi benefici materiali con minimi dispendi di energie spirituali. Non si immedesima perciò in una logica dell’azione per l’azione, non risolve il riflettere nel fare, il fare nel lasciar fare, le tutele reali nelle opportunità immaginarie, educa a riconoscere le mutue implicazioni tra l’universale e il particolare, sancisce le demarcazioni necessarie tra il bene e il male, rende la finitezza consapevole delle sue responsabilità etiche.

Nella visione liberale hanno un significato positivo anche le garanzie di neutralità e imparzialità nei confronti della realtà fenomenica alla quale, se animata dalla libertà, si demandano compiti importanti del suo ordinarsi e valorizzarsi, senza discriminare aprioristicamente i contenuti delle idee e delle azioni, sempre disuguali per capacità critica, consistenza etica, rilevanza pratica.

Le commisurazioni liberali non sono coercizioni, ridimensionano gli oggettivismi e i finalismi, estendono gli ambiti delle emulazioni e delle cooperazioni spontanee e non si illudono di poter dilatare a dismisura le risorse limitate della condizione umana.

Il liberalismo è però un’antropologia calcolata per l’elevazione della dignità personale nella politica, nella società, nell’etica, nell’economia. E perciò pensare, fare, sperimentare, comunicare, cumulare, storicizzare, così come distinguere, separare, comparare, selezionare in senso liberale vuol dire adoperarsi per volgere al meglio le combinazioni ragionevoli ed efficaci tra i beni disponibili.

In questa prospettiva la neutralità liberale non è indifferenza, ma fiducia che la libertà non esasperi le parzialità, non assecondi l’egoismo, non inflazioni il relativismo, ma confermi le capacità umanizzanti di voleri non disgiunti da valori.

Ci sono però dei punti critici oltre i quali la liceità affidata alle più disparate manifestazioni della fattualità non discerne l’essenziale dal contingente, il durevole e l’effimero, il necessario dal futile, l’associabile dall’inassociabile, l’esistenziale dall’inesistenziale e compromette l’uso ragionevole e conveniente del libero arbitrio.

Garanzie e finalità

L’umanesimo liberale non impone doveri impossibili, non esalta solidarismi che disperdono più cose di quelle che riuniscono, non indulge a precettismi repressivi, ma neppure elargisce ai singoli diritti fittizi e pretese abusive. Esso è tenuto invece ad approfondire la natura esistenziale e sociale della libertà, a determinare le condizioni e i limiti del principio di individualità, a cercare contemperamenti tra dinamiche liberalizzanti e strutturanti, a revisionare gli automatismi della spontaneità, a rivalutare il ruolo formativo e non puramente formale della normatività, a proporzionare i criteri garantistici a quelli propositivi, ad accertare quale è il ruolo positivo del libero disordine nella formazione degli equilibri sociali e quale è invece il grado inaccettabile di precarietà e di insicurezza che può provocare, a distinguere quanto nella difettività è ricerca di qualità o tentazione di lassismo. Non è illiberale sostenere che i fini deliberati debbano equilibrare gli impulsi spontanei e che le necessarie misure di protezione collettiva debbano controllare l’espansione dei non impedimenti.

Se le regole liberalizzanti si confondono con il permissivismo e non impediscono il permanere e l’aggravarsi di tensioni, frustrazioni e disillusioni personali e collettive, l’umanesimo liberale deve farsi carico di tali problemi senza addebitarli alle ibride mescolanze tra energie innovative e retrive ancora sussistenti nei liberi ordinamenti e senza presumere di risolverli generalizzando le indifferenze nei confronti delle differenze, mettendo in concorrenza tutti gli attivismi comunque determinati, e rinunciando a cercare anche nelle cose essenziali principi e comportamenti condivisi.

La spontaneità diseducata e abbandonata alle volizioni immediate perde i caratteri di un’emulazione etica in grado di controllare le altre emulazioni della pratica sociale e porta a crisi e decadenze che offendono gli scopi e i significati qualitativi della libertà.

Le riforme

Il riformismo liberale tenta di ridurre le vistose sproporzioni tra i poteri tendenzialmente incondizionati, anche se simbolici e immaginari, del libero arbitrio dei singoli e quelli ristretti di comunità ordinate solo dalle mediazioni involontarie delle azioni particolari, esse stesse d’altronde possibili matrici di forze collettive oppressive.

È coerente con le vocazioni liberali sottrarre al mondo sociale quella parte di inintenzionalità che sia palese umiliazione delle capacità razionali e morali della libertà e del diritto e dovere della collettività di determinare e qualificare consapevolmente almeno una parte dei propri fini comuni. Esperto nella critica di altri provvidenzialismi che in passato hanno svilito e confiscato l’autonomia della coscienza, della conoscenza e della creatività, l’umanesimo liberale non demanda solo alle ammodernate strategie di mani e menti invisibili il compito di assecondare emancipazioni considerate pregiudizialmente irraggiungibili in modo deliberato.

Nella società liberale tutti possono volere con responsabilità soggettiva e nessuno può pretendere di costruire l’ordine comunitario secondo i comandi di un potere egemonico. Ma per non proporsi come determinismo o indeterminismo assoluto le mediazioni collettive involontarie devono essere costituzionalizzate con regole che vietino di convertire l’imparzialità istituzionale in indifferenza etica. Il liberalismo che costituzionalizza il potere politico deve costituzionalizzare l’intera società con riforme atte a valorizzare le privatezze ma anche a definire assetti equilibrati delle realtà pubbliche, a restringere i dirigismi governativi ma anche a proteggere gli interessi generali della comunità.

Il liberalismo non è costruttivismo, non circonda il suo garantismo con norme di opposta natura e non si riconsegna a poteri che ha teoricamente e storicamente criticato, diviso, limitato. E perciò il suo riformismo deve derivare senza equivoci dai principi liberali e non essere semplice correzione, attenuazione, variazione di ideologismi collettivistici smentiti dalla storia ma persistenti nelle culture, nelle mentalità, nei programmi, nei comportamenti di parti sociali e politiche che opponevano i miti delle palingenesi sociali alle manchevolezze dei liberi ordinamenti.

Le tutele liberali profittano delle libere opportunità e delle libere scelte, ma distinguono ciò che nelle opportunità e nelle scelte è realtà o illusione, gratificazione o frustrazione, progresso o regressione. Non accettano lo statalismo, ma neppure cercano nell’indifferentismo istituzionale e nella spontaneità sociale i criteri della loro veridicità e della loro efficacia.

Individuo e stato

L’individualità esercita un ruolo essenziale nei passaggi epocali dalla staticità dell’essenzialismo alla dinamicità del relazionismo, e l’umanesimo liberale non pone limiti preventivati alle sue espansioni e realizzazioni. Non semplifica però la composizione esistenziale e sociale della soggettività e la protegge dagli usi spregiudicati del libero arbitrio, dalle insidie del singolarismo e dell’egolatria, dalle assolutizzazioni dell’immediatezza.

Il pubblico e il privato sono componenti correlate dell’antropologia liberale che esclude politicizzazioni e socializzazioni integrali delle esperienze e insieme chiede alle delimitazioni e alle separatezze di non esaurirsi nelle loro particolarità e di aspirare a qualcosa di universalmente valido.

Le idee liberali rivalutano il civile che umanizza la coesistenza e lo impegnano a contrastare gli abusi individualistici, i condizionamenti statalistici, le costrizioni della stazionarietà sociale e a favorire dinamiche di pacificazione alternative alla miserevole categoria amico-nemico elevata a criterio decisivo di spiegazione dei confronti tra stati, popoli, nazioni, etnie.

Per il liberalismo il mercato è luogo di confluenza tra le libere iniziative individuali e i meccanismi liberalizzanti di un’economia competitiva. Ma sono liberali anche quelle aliquote della società che servono i valori della libertà al di fuori del mercato assumendo altre responsabilità sociali e morali, esercitando altre virtù, attivando emulazioni di diversa natura, pur senza pregiudiziali avversioni nei confronti di ciò che è più direttamente e rischiosamente innovativo.

Universalità e libertà

Si può sostenere che il liberalismo non è solo umanesimo, che la sua cultura si riconosce anche nell’empirismo, nel pragmatismo, nell’utilitarismo, nell’economicismo, nelle ragioni strumentali, e che le sue reazioni contro l’ideologismo comprendono il rifiuto di ogni sublimazione moralistica dell’umano e del sociale. Questa corrente di pensiero accetterebbe così di essere parte tra parti e difenderebbe ideali e interessi delimitati lasciando ad altre componenti della realtà il compito di far valere le proprie posizioni, allo stesso modo parziali e delimitate, in una dialettica senza sintesi e conclusioni.

Le diffidenze liberali nei confronti dell’essenzialismo e dell’apriorismo rientrano però nelle più vaste capienze di un’antropologia che valorizza le particolarità perché le considera sempre aperte a quella universalità veritiera e problematica, tangibile e misteriosa, storica e metafisica che ispira, orienta, qualifica l’etica e la politica della libertà.

Bibliografia

La paura e la speranza, Mondadori, Milano 2008.